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Il grande amore di Paolo: Senza missione, la bancarotta pastorale

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Ogni anno la giornata missionaria mondiale riceve dal Papa l'intonazione. Quest'anno Benedetto XVI ci addita Paolo, perché stiamo celebrando i duemila anni dalla sua nascita. A lui, chiamato "apostolo delle genti", si deve se il comando del Signore - "andate ed evangelizzate tutte le nazioni" - si è realizzato nei primi tempi della chiesa, mettendo in movimento quella missione che ancora continua.

Le domande del Papa

Il Papa sa bene che oggi ci sono tanti problemi che rallentano la missione: scarsità di sacerdoti annunciatori e mancanza di vocazioni missionarie. Ciononostante, il Papa ricorda che l'impegno missionario non può interrompersi, perché è "la vita e la missione essenziale della chiesa" e perché il mondo soffre e ha bisogno di salvezza.

Perciò egli si domanda: "C'è speranza per il futuro, o meglio, c'è un futuro per l'umanità? E come sarà questo futuro?". E risponde: "È Cristo il nostro futuro, e il suo vangelo cambia la vita, dona la speranza, spalanca la porta oscura del tempo e illumina il futuro dell'umanità e dell'universo".

"Guai se non evangelizzo!"

La missione tuttavia ha bisogno di persone che si lascino mandare nel mondo ad annunciare il vangelo. Per questo il Papa richiama la grande figura dell'apostolo Paolo, che ci mostra le ragioni più vere per impegnarci nella missione. Non basta il comando di Gesù. Spesso davanti ai comandi - anche a quelli di Gesù! - noi obbediamo, ma a denti stretti, perché non amiamo essere comandati.

Ci decidiamo all'obbedienza solo quando è l'amore che ci spinge. Paolo in questo è esemplare. Egli sentiva di dover farsi "tutto a tutti", spendersi tra fatiche e pericoli incredibili, perché egli era innamorato di Gesù. Dopo che Cristo l'aveva intercettato sulla strada di Damasco, Paolo si era sentito conquistato, afferrato, dice lui, da Gesù fino a non poter più far altro che farlo conoscere a tutti. "Guai a me se non evangelizzo", diceva.

Non un comando, ma l'esigenza

Per Paolo "evangelizzare" non era un comando che veniva dal di fuori, ma una necessità interna, che nasceva nel profondo del suo essere. Una forza irresistibile che lo portava a percorrere le strade del mondo, a occupare i posti strategici dell'impero romano, ad affrontare ambienti nuovi, a discutere con tutti - giudei, greci e romani - e a soffrire persecuzione per presentare quel vangelo che l'aveva cambiato: "Cristo e Cristo crocifisso, potenza di Dio e sapienza di Dio", un Dio che muore per nostro amore.

Per questo Paolo scrive: "L'amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro". L'attività missionaria è la risposta all'amore con cui Dio ci ama ed è la misura della fede che ci anima.

Si è raffreddato l'amore?

Non è una novità che oggi nel popolo cristiano si stia raffreddando l'impegno per la missione e che i giovani non accettino più di rispondere alla vocazione missionaria. Ma non basta lamentarsi.

Domandiamoci invece se questo non sia il segno che nella nostra chiesa si sta raffreddando l'amore per Gesù Cristo.

Se questo fosse vero, sarebbe un guaio serio. A niente servirebbero le iniziative, le opere e i programmi pastorali; non avrebbero più senso né i sacramenti che celebriamo né le battaglie che facciamo per la difesa della vita, l'impegno per accogliere gli immigrati, per difendere i deboli e per promuovere uno sviluppo più umano. Se tutto questo non viene dall'amore per Cristo, rischiamo davvero la bancarotta pastorale.

San Paolo, dopo aver conosciuto Cristo ed essersi reso conto di essere amato da Lui, è stato preso da quest'unica idea: "Mi ha amato e ha dato se stesso per me". Questa è la molla che ha trasformato la sua vita e l'ha proiettato sulle strade del mondo per dire a tutti: "Per me vivere è Cristo", pronto a fare di tutto e a subire ogni cosa "purché Cristo sia annunziato".

Dall'amore per Cristo possiamo attingere "l'attenzione, la tenerezza, la compassione, l'accoglienza, la disponibilità, l'interessamento ai problemi della gente, e quelle altre virtù necessarie ai messaggeri del vangelo per lasciare tutto e dedicarci incondizionatamente a spargere nel mondo il profumo della carità di Cristo".



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