Chi è tornato racconta
Sono tornato in Africa dopo 4 mesi di pausa forzata in Italia. Poiché le nostre missioni al nord sono ancora occupate dai ribelli, mi è stata data una nuova "missione" temporanea: assistenza ai rifugiati della Sierra Leone in Guinea. Prima di raggiungere i miei due confratelli in Guinea, ho fatto una visita a Freetown: avevo lettere e offerte da portare laggiù. Inoltre mi stava molto a cuore vedere di persona i "segni" dell'invasione, delle distruzioni e della carneficina dello scorso anno.
A Freetown vige il coprifuoco. Muoversi in città vuol dire buttarsi in una babele infinita: ogni 300 metri ci sono posti di blocco: militari, polizia, volontari zelanti, fermano tutti i veicoli. Ogni posto di blocco marcato da barriere di pietre e blocchi di cemento che rendono il traffico impossibile.
Scuole, mercato, lavoro... tutto va avanti in qualche modo: solo Dio sa come. Le distruzioni sono più che evidenti: tantissime case squarciate o bruciate. Ma dove rimasta qualche stanza o piccolo rifugio coperto, l la gente continua a vivere: dove altro potrebbero andare? Alcune delle chiese più frequentate sono state ridotte a tristi ruderi.
Freetown giace sulla costa, in riva all'Atlantico. La zona di Kissy quella più esterna, verso l'entroterra del Paese. I ribelli arrivarono da lì naturalmente; e lì si accamparono per tre settimane; è la zona che distrussero sistematicamente prima di essere ricacciati dall'Ecomog. E' una zona che conosco in ogni dettaglio, avendovi lavorato per 10 anni e costruito due chiese, che ora sono parrocchie gestite dal clero locale.
Un giorno ho preso il mio vecchio catechista e a piedi, per 4 ore, abbiamo fatto il giro di tutta la zona: volevo incontrare un po' di gente e volevo vedere coi miei occhi quanto era successo. E' stato un giro che non scorderò facilmente.
Quale sorpresa e quale gioia per molti rivedermi, dopo la recente apocalisse!
- Siete ancora vivi? - mi veniva spontaneo salutarli.
- Sì, ma solo per grazia di Dio! - mi rispondevano.
Ma non tutti erano vivi. Alcuni tra i nostri fedeli avevano perso la vita in maniera violenta. Ho ascoltato molte storie raccapriccianti.
Il preside di una delle nostre scuole mi diceva: "Qui c'è il mango sotto cui mettevano in fila gruppi di persone per le amputazioni. Su queste grosse radici tagliavano mani e braccia. A chi offriva la mano sinistra loro afferravano la destra. Poi chiedevano: "Manica lunga o manica corta?" (vuoi il taglio della mano o del braccio?).
Lo scenario di case bruciate o distrutte non è facile a descriversi. Se nel centro città erano a decine, qui a Kissy erano a centinaia.
Oggi sono stanchi di guerra e di distruzioni: 10 anni! C'è una forte pressione da parte dell'ONU e di vari leader africani perché il governo legittimo della Sierra Leone accetti un compromesso coi ribelli, cioè che ammetta nel governo alcuni dei loro rappresentanti. Ma le pretese dei ribelli sono semplicemente assurde. Se si cede alle loro richieste, il Paese sarà tra pochi mesi totalmente schiavo ed alla loro mercè.
Ma se tragico appare un compromesso/svendita ai ribelli, non meno tragica l'alternativa di continuare la guerra.
La gente è stremata e affamata di pace. Umanamente parlando, non vedo nessun barlume. Che Dio abbia misericordia di questo Paese.