''C’era… il bene comune''
Vogliamo continuare a riflettere su qualche idea centrale dell'enciclica di papa Benedetto XVI "Caritas in veritate". La dottrina sociale della chiesa è per tutti i cristiani, ma per noi missionari in particolare, la stella polare nel nostro servizio a ogni persona e all'umanità intera.
Qualità di vita per tutti
Tra le idee più frequentemente espresse dal papa c'è il principio del "bene comune", una verità che in questi ultimi tempi sembra andata in eclisse. Il papa ne parla in modo esplicito almeno diciotto volte e, dopo aver detto che la dottrina sociale della chiesa si fonda sulla giustizia e sul bene comune (n.6), spiega che il bene comune è un valore che ci fa attenti non solo al benessere di ciascun individuo, ma anche alla qualità della vita di "noi tutti".
«Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità» (n.7). Lo chiamiamo anche impegno politico, ossia un impegno per la comunità civile o politica, dalla parola greca polis che vuol dire la città ed è una logica deduzione del "comandamento nuovo" di Gesù.
La carità politica
«Si ama tanto più efficacemente il prossimo - scrive Benedetto XVI - quanto più ci si adopera per un bene comune... Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella polis» (n. 7).
Questa è giustamente chiamata la carità politica, che non è meno carità di quella che regola le relazioni interpersonali con il prossimo. Anzi, l'impegno per il bene comune «s'iscrive in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l'eterno e contribuisce all'edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana» (n. 7).
Oggi però la ricerca del bene comune è diventata un bene tanto prezioso quanto raro. Per questo il titolo di questo editoriale assomiglia all'inizio di una favola: "C'era una volta il bene comune...".
Il libero mercato
Purtroppo oggi ciò che vediamo attorno a noi contraddice spesso il bene comune. Molti neppure se ne rendono conto, vittime forse della logica del cosiddetto libero mercato che oggi è il sistema unico dominante. Il libero mercato parte dall'assunto che la molla dello sviluppo economico è la ricerca individualistica del proprio benessere e vantaggio, nella convinzione che la ricchezza così accumulata si riversa poi su tutta la società.
Ha come metro di valutazione della ricchezza di un paese il famoso "pil " - prodotto interno lordo - che si ottiene sommando la ricchezza prodotta in un anno dalle imprese e dai singoli dividendola poi tra tutti i cittadini. Questa è la ricchezza pro capite. Ma lo vede anche un cieco che questo è un calcolo che nega il "bene comune", immaginando una società dove tutti sarebbero ugualmente ricchi, ma solo per le statistiche. La realtà è ben diversa. È la solita storia dei polli: uno ne mangia quattro, un altro tre, un altro uno e uno non ne vede neppure le piume... Eppure, secondo la statistica, ciascuno ne ha mangiato due a testa: pro capite, appunto!
Il "dono" condiviso
La teoria del bene comune o della fraternità è invece misurata sulla condivisione o sul "principio del dono". Questo è un altro punto forte dell'enciclica Caritas in veritate, un principio antico che viene da Gesù stesso. È lui che ce l'ha insegnato quel giorno lungo le rive del lago di Tiberiade, quando condividendo il poco che aveva trovato, diede da mangiare a tutti, sotto lo sguardo sbalordito dei discepoli, vittime già allora della logica del mercato: "Dovremmo andare a comprare il pane per tutti..., ma chi ci dà i soldi?".
Quel giorno è stato inaugurato anche lo stile missionario della chiesa. A partire di lì è cresciuta e si coltiva a tutt'oggi la spiritualità missionaria, che proviene ed è nutrita dalla logica del dono e della sovrabbondanza. Condividere tutto - dal pane alla fede e alla speranza - con i più bisognosi, è la base di quello sviluppo umano integrale che secondo Benedetto XVI è la missione della chiesa.
In questa linea si iscrivono anche le vocazioni missionarie, il volontariato, l'accoglienza dei poveri e degli immigrati che approdano tra di noi.
Ciò che ci meraviglia è che tutto ciò, purtroppo, non è percepito come un frutto normale di quelle radici cristiane che diciamo essere le nostre.