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Amore donato con gioia, Un vero miracolo di generosità

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Padre Nico Macina è originario di Modugno (Bari), ma è diventato cittadino indonesiano nel 1986. Così ha preso l’occasione per cambiare nome. Si chiama Trisno Waluyo, che vuol dire “amore donato con gioia”. Dopo questi anni passati a Taranto, sta per ripartire per l’Indonesia, dove aveva già trascorso 27 anni di attività missionaria.

Abbiamo chiesto a padre Nico di parlaci della sua lunga esperienza missionaria.

Dove hai svolto l’attività missionaria in Indonesia?

Ho passato i primi otto anni di missione nell’isola di Sumatra, una delle 13mila isole che compongono l’Indonesia, abitate da oltre 220 milioni di persone. Ho visitato regolarmente i 15 villaggi sparsi nel raggio di 35 chilometri. Ho concentrato il mio lavoro sul dialogo interreligioso, specialmente con i musulmani, che sono l’80 per cento della popolazione.

Poi sono stato inviato come primo saveriano nell’isola di Nias, detta l’isola dei “tagliatori di teste”. Qui mi sono fermato per 13 anni. La popolazione dell’isola è quasi tutta cristiana. Il mio impegno maggiore è stato nel formare il laicato in ogni comunità cristiana, guidata da un gruppo di quattro persone responsabili, per una sempre maggiore maturità di fede e di amore per Dio e per il prossimo.

Era una missione grande?

La missione aveva 45 villaggi, da raggiungere a piedi nella foresta. Riuscivo a celebrare la Messa in ciascuna di queste comunità solo tre o quattro volte l’anno. Le altre domeniche erano i quattro responsabili laici a celebrare la liturgia della Parola, a fare la catechesi e le altre attività religiose e umanitarie. Sono stati 13 anni molto belli. Avevamo circa 7mila battesimi l’anno e un laicato sempre meno dipendente dal prete e più coraggioso nello sforzo di far fronte ai problemi quotidiani.

Gli ultimi sette anni li ho passati nell’isola di Giava a Jakarta, la capitale dell’Indonesia. Qui i saveriani hanno alcune case per la formazione alla missione: il noviziato, la filosofia e la teologia. Ho lavorato con i giovani indonesiani aspiranti alla vita missionaria.

Come sei finito a Taranto?

Sì, tornato in Italia, i superiori mi hanno chiesto di venire a Taranto, nelle Puglie, per fare l’animatore vocazionale e missionario nelle parrocchie, nelle scuole e nei gruppi giovanili. Sono rimasto edificato dall’entusiasmo dei giovani. Sono desiderosi di una testimonianza ed esperienza missionaria e vogliono svolgere un impegno maggiore nelle proprie comunità.

Ma il cuore era in Indonesia...

Già dal primo anno in Italia, ho cercato di trovare aiuti per sostenere la gente del Timor Est, vittima di due genocidi, con più di 200mila morti tra genitori e giovani. Una situazione veramente disastrosa, prezzo della loro indipendenza. La povertà e l’abbandono dei bambini orfani mi ha spinto a sostenere i più bisognosi con l’adozione a distanza, per garantire la loro educazione scolastica.

Poi, in seguito allo tsunami e al terremoto, che hanno colpito le isole di Sumatra e di Nias, ho dovuto raddoppiare gli sforzi per contattare persone e gruppi di buona volontà interessare ad aiutare specialmente i bambini e le famiglie colpite.

Quali sono stati i frutti?

Da ogni parte ho trovato tanta generosità, a Taranto, a Bari, nella mia città di Modugno, a Gioia del Colle e a Cetara nella costiera amalfitana... Molte scuole elementari e medie hanno aderito all’iniziativa. Migliaia di ragazzi, incoraggiati dai loro insegnanti, genitori e catechisti, si sono impegnati in una gara di solidarietà. In quattro anni è stata raccolta la miracolosa somma di 75mila euro. Tutto è stato mandato alle famiglie e ai bambini di Timor Est e di Nias.



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