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“In un porto italiano è arrivata una nave piena di armi che doveva andare nello Yemen e noi sappiamo cosa succede nello Yemen. I lavoratori del porto hanno detto NO. Sono stati bravi!”. Le parole di papa Francesco di apprezzamento per le iniziative dei lavoratori portuali di Genova, che da quattro anni si rifiutano di caricare armamenti e sistemi militari sulle navi provenienti dal Nord America dirette nei Paesi del Golfo, hanno dato vita ad una iniziativa che si sta diffondendo in tutte le città portuali italiane: “Fari di Pace”. Promosso dal movimento Pax Christi insieme all’Osservatorio nazionale “The Weapon Watch”, il progetto ha preso il via l’anno scorso a Savona ed ha già coinvolto Genova, La Spezia e Napoli.
L’obiettivo non è solo quello di sensibilizzare la cittadinanza sui transiti nei porti italiani delle “navi delle armi”, ma soprattutto di promuovere percorsi virtuosi, locali e nazionali, di riconversione delle aree militari e dell’economia bellica a favore di progetti di sostenibilità economica, ambientale, umana ed etica. Nelle diverse città hanno aderito, oltre a numerose associazioni locali e ai sindacati dei portuali, anche i vescovi. “La lacerante condizione di un mondo che ancora vive la tragedia della guerra - ha detto l’Arcivescovo di Napoli, mons. Domenico Battaglia - e il rischio che si possa estendere su larga scala, non può che vedere uniti gli uomini giusti che, diversamente orientati ma unitamente protesi verso il bene, sentono il bisogno di denunciare quanto siano ancora aperte e sanguinanti le piaghe della violenza delle armi, fonte di sofferenze e povertà, di mancanza di lavoro e dignità e di minacciosi conflitti sempre in agguato”.
L’iniziativa “Fari di Pace” è stata rilanciata durante la Marcia della Pace 2022 che si è tenuta il 31 dicembre ad Altamura (BA) e nei prossimi mesi raggiungerà le città di Livorno e Pisa, coinvolte dal forte flusso di armi via mare e via aria, e poi di Trieste e Taranto dove hanno sede cantieri navali e militari. Come ha ammonito papa Francesco: “Occorre finirla con quella ipocrisia armamentista: Paesi cristiani, o almeno di cultura cristiana, Paesi europei che parlano di pace e vivono delle armi. Ipocrisia si chiama questa”. Parole che ci interpellano tutti.



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