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Se rimaniamo appesi a un “cioè…”

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La presentazione online del libro del professor Giovanni Grandi “Virtuale è reale” (proposto in questa pagina nel numero scorso) è stata una bella occasione per parlare di parole non ostili e di… stili di comunicazione, in rete, ma non solo. Si è convenuto che aver cura delle parole significa aver cura delle persone. Perché la comunicazione ci rende essere umani, senza che sia necessariamente efficace per questo o quello scopo.
Chissà cosa avrà pensato quella ragazza che, davanti a un microfono televisivo, si è espressa più o meno così: “Comunque i giovani della mia età non muoiono di Covid. Ma neanche mio padre che ha 50 anni. No, muoiono solo le persone anziane. Quello che dico io, arrivati a questo punto… Anche i miei nonni, tengo molto ai miei nonni, ma se devono morire, morissero, cioè…”. Il contesto erano le proteste per le restrizioni dovute alla pandemia che, ora, si spera siano davvero solo un triste ricordo. Non vanno strumentalizzate queste affermazioni. I giovani sono stati la generazione più penalizzata da una situazione drammatica. E direi, forse, che sono stati i più sottovalutati con semplicistici “tanto loro se la cavano”. Per questo, non è giusto commentare con toni accusatori le affermazioni dell’intervistata. Il problema se mai è a monte. È educativo, è informativo, è anche familiare e tutto questo chiama in causa gli adulti che non si possono più nascondere. La speranza? Sta in quel “cioè…”, che sa di ravvedimento, di marcia indietro, di presa di coscienza. O, almeno, mi piace prenderlo come tale.
Marta, 23 anni, all’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università di Brescia, presente il presidente Mattarella, ha parlato a nome degli studenti che rappresenta. “Il Covid-19 ha solo accentuato la più che nota abitudine italiana di sacrificare il settore dell’istruzione in favore di altri (3,8% del Pil, un punto in meno della media europea). La storia ha gli occhi puntati su di noi, le future generazioni giudicheranno come decidiamo di ricostruire il mondo dopo l’emergenza. Abbiamo l’opportunità unica e irripetibile di costruire sulle macerie un sapere libero, collettivo, solidale e inclusivo. Mi unisco volentieri a questa lotta. E quando i nostri figli racconteranno la nostra storia, partiranno da qui”. Altre parole, altra età e un’idea di futuro che coinvolge tutti, nessuno è escluso.



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