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Fuori il cielo è plumbeo in questo pomeriggio di fine marzo. Una pioggerellina gelida intristisce queste ore che trascorrono lente, avvolte in un silenzio artificioso. In casa, ancora morti: una angosciante processione. Il cuore è come intontito.

Ho davanti un libro, tradotto dal nostro p. Tiziano Tosolini che contiene racconti brevi dello scrittore giapponese Shusaku Endō, intitolato Frammenti di vetri colorati. Li ho letti tutti. Narrano le vicende dei cristiani nascosti, kakure kirishitan, durante la durissima prova della persecuzione. Chi ha veduto il film di Scorsese, il Silenzio, sa di cosa parlo. Endō scrive, dunque, che coloro che venivano scoperti a praticare il cristianesimo venivano giustiziati su un isolotto frastagliato, chiamato "Isola delle rocce". Legati mani e piedi, avvolti in una stuoia e gettati uno ad uno nelle gelide acque del mare. Dio mio, quanto somigliano queste stuoie alla pandemia che ci avvolge in questi giorni e quanti di questi tonfi ho sentito!

Le Sacre Scritture, che la liturgia ci propone in questi giorni di Quaresima, sembrano fare da contrappunto al peso che grava sul cuore. Almeno per noi che, in questo buio, cerchiamo luce nella Parola di Dio. Sembrano descrivere questi nostri giorni. Non ho mai capito veramente coloro che non amano l'Antico Testamento. Forse pensano che parli di un Dio crudele e di un popolo schiavo. A me piace perché trasuda umanità, dannata e capace di lasciarsi redimere. Non sono più solo le vicende del popolo d'Israele, ma anche le nostre. Spesso i racconti si possono quasi sovrapporre, sì che le une sembrano scritte per l'oggi. Trovo che indichino - pedagogicamente - una prospettiva di senso. Anche le nostre vite sono crude, talvolta avvolte da una violenza e da un buio ancora più pesto del solito. Ho aperto il libro del profeta Geremia, al cap. 14, 17s. "I miei occhi grondano lacrime notte e giorno senza cessare, perché da grande calamità è colpita la vergine, figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere".

Eppure, forse non solo laicamente, ci diciamo: “Ce la faremo”. Io mi aggrappo ancora a Geremia, che parla per bocca di Dio: “Di questo luogo voi dite: È desolato, senza uomini e senza bestiame. Ma si udranno ancora nelle città di Giuda e nelle strade di Gerusalemme… il canto della gioia e dell'allegria, il canto dello sposo e il canto della sposa e la voce di coloro che cantano: Rendete grazie al Signore degli eserciti, perché il suo amore è per sempre” (33, 10s.). Per questo, abbiamo cantato e ballato sui balconi delle nostre città.



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