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L’aver indetto il Giubileo sulla misericordia è segno di grande coraggio, in un’epoca in cui la cultura non è favorevole a questo valore. Non la si considera una virtù, al contrario. Oggi, nel mondo, “non c’è posto né per la misericordia né per il misericordioso; chi vince vive, e i deboli sono già quasi morti” (mons. Galantino).

Ostacoliamo gli aiuti ai paesi poveri e facciamo circolare liberamente le armi. In tal modo nutriamo le guerre e non le persone.

Tramite i media, conosciamo tutto ciò che accade, anche dall’altra parte del mondo. Ma questa apparente vicinanza si incrina ogni giorno di più. Poco a poco, diventiamo immuni alle tragedie e le consideriamo come qualcosa di naturale. Vediamo il dolore, ma non lo tocchiamo, sentiamo il pianto, ma non lo consoliamo, vediamo la sete ma non la saziamo. È necessario ‘de-naturalizzare’ la miseria, che ha il volto di un bambino, di una famiglia, di giovani e anziani, della mancanza di lavoro di tante persone, il volto delle migrazioni forzate, delle case abbandonate o distrutte (papa Francesco).

La misericordia, carezza di Dio sulle ferite del nostro egoismo, ci trasforma e apre il nostro cuore al misero, sull’esempio di Gesù.

Questi riabilitava poveri, accoglieva peccatori, stranieri, donne, bambini, lebbrosi. Sfamava le folle, denunciava i potenti. Addirittura chiamò a sé (per seguirlo da vicino!) uno come Matteo. Non si dava mai per vinto fino a quando non avesse dissolto il peccato e vinto il rifiuto, non con minacce, ma con la sola compassione, forza che vince tutto.

Le nostre comunità siano missionarie, luce che brilla in mezzo alle tenebre. Compiano passi di misericordia, e immettano “nella storia germi di vita nuova rispetto a quelli di una cultura antiumanistica”. In luglio Francesco si recherà in Polonia nel segno di Maria e della Misericordia. Si incontrerà con i giovani che giungono dai cinque continenti e visiterà il santuario della Divina Misericordia di Cracovia.

Andrà anche ad Auschwitz e pregherà davanti al “muro della morte”. Auschwitz è un capitolo triste della nostra storia, che non si potrà mai chiudere, un luogo dal quale le braccia si aprono verso la misericordia di Dio. Per costruire un futuro diverso per l’Europa (e per il mondo) non c’è niente di meglio che partire da Auschwitz e Czestochowa.

Nell’anno della Misericordia i giovani (e noi con loro) andranno nella capitale della Divina Misericordia e potranno fissare il loro sguardo in quello di Maria, che non condanna, ma guarda in modo tale che ognuno si senta accolto nel suo grembo. Se per caso il nostro sguardo si è indurito, se proviamo fastidio di fronte alla sofferenza altrui, c’è una soluzione:

lasciarsi guardare da Maria, lasciare che lei curi le “cataratte”, le chiusure di cuore.

I giovani faranno questa esperienza e speriamo contagino, con la loro autenticità, tutte le nazioni. E che si avveri, in tal modo, il sogno di Francesco: un’Europa giovane, solidale, umana, vicina ai deboli, che promuove e tutela i diritti di ciascuno, capace di essere ancora madre. 



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