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L’esperienza missionaria con i migranti a Modica

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La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli (papa Francesco, FT 12).

La fede ci spiega, con un linguaggio che esclude ogni incertezza, i più grandi problemi che si affacciano alla mente umana e ci apprende che non fummo creati per le misere cose di quaggiù, che Dio è il nostro primo principio e l'ultimo nostro fine, che tutti siam figli di uno stesso padre, redenti ad uno stesso prezzo, destinati alla medesima gloria, onde sempre più si consolida il principio consolante della fratellanza universale (san Guido Conforti, Parma - 4 marzo1908, in FCT 15, p 333).

Il Forum della Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI), nel 2013, si era chiuso con dieci punti finali. Due di questi hanno portato nel 2015 all’avvio di una Comunità missionaria intercongregazionale a Modica, in Sicilia, diocesi di Noto.

1. Favorire un lavoro intercongregazionale, misto e partecipato anche da laici, che permetta processi di apprendimento comune (riflettere, progettare e programmare insieme) in stile di comunione.
2. Valorizzare il più possibile il rapporto con gli stranieri immigrati in Italia ma non solo, tramite il contatto personale, portandosi nei diversi luoghi da loro abitati: strada, carcere, CIE, periferie, ambiti di socializzazione giovanile, ecc.

Gli istituti missionari in Italia, in virtù del loro specifico carisma "ad Gentes", hanno offerto alla Chiesa italiana un segno della missionarietà che li qualifica, facendo comunione tra loro. La diocesi di Noto ha offerto il contesto per la realizzazione di questo progetto. È luogo di sbarchi, ma anche di consolidate comunità di immigrati da anni presenti sul territorio, non sempre accolti e integrati.

La comunità missionaria, di cui fanno parte anche la saveriana Adriana Marsili e il saveriano p. Carlo Uccelli, si propone di essere ponte tra tutte le culture presenti sul territorio, non semplicemente come mediatori culturali, ma come persone che hanno vissuto in mezzo ai popoli nei territori di missione. Nel continuo ascolto della realtà, la comunità rimane "aperta ad accogliere l'oggi di Dio e le sue novità", attraverso i fratelli e le sorelle migranti.
La testimonianza di Adriana Marsili.

Qualcuna potrebbe "prenderla male" se, al termine di una cordiale conversazione con un senegalese in fondo alle scale della chiesa di S. Pietro a Modica, si sente dire: "Tu sei un'africana con la pelle bianca!”. A me è successo e non l'ho affatto presa male, anzi! A quelle parole ho provato un'intima gioia. Ecco il motivo.

Eravamo in sette, sei saveriane italiane e una brasiliana. Avevamo scelto di restare con la nostra gente in Sierra Leone. Nel 1995 siamo state catturate dai ribelli del RUF ... "Perché cosi il mondo parlerà di noi". Questa la spiegazione che ci hanno dato. Avevano ragione. La cattura di sette donne bianche data in pasto alla cronaca ha fatto sì che si cominciasse a parlare della Sierra Leone e di una guerra che durava già da cinque anni! Intanto, però, nulla si diceva dei miei 130 studenti di liceo catturati con noi. In questo caso, la pelle bianca diventa peggio di una camicia di forza. Piangevo davanti a torture ed esecuzioni. “Perché piangi? Questo è un nero, non è tuo fratello!”, ci gridavano minacciandoci. "Piango per tutti - dissi - perché bianchi e neri siamo tutti fratelli, figli dello stesso Dio che è il Padre!".

“Siete proprio come noi”, ci disse Shawolin, uno dei ribelli, guardandoci, mentre eravamo insieme sotto il terzo bombardamento in foresta... Scampata viva ancora una volta, ho recuperato dopo, nella preghiera, quelle parole che continuano a risuonarmi come la realizzazione del sogno di ogni missionario: farsi uno con coloro a cui si è inviati. Questo è il punto più alto della missione (Adriana Marsili, mMx).



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