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Perché non far conoscere ai lettori anche le saveriane romagnole che lavorano nel mondo? Detto, fatto. Ecco la prima testimonianza di Alba, cui seguiranno altre nei prossimi numeri.

La mia vocazione è nata in famiglia, nella partecipazione alla vita della nostra parrocchia di Sant’Agata in Montiano (FC), nel lavoro e nelle amicizie che sono nate. Verso i 18 anni, ho avvertito forte la responsabilità del Battesimo. Capivo che non potevo non fare qualcosa per gli altri. Il nostro parroco, don Alfredo, chiamava ogni tanto alcuni missionari a parlarci. Rimasi colpita quando ci disse della morte in Congo dei missionari Saveriani, nel 1964. Tutto questo mi ha spinta a pensare alla vita missionaria e, nel 1967, a 24 anni, sono entrata fra le missionarie di Maria - Saveriane, a Parma.

Dopo vari anni di presenza in Italia, nel 1991, a quasi 50 anni, sono partita per la missione in Brasile. Ho sentito molto vicina la presenza del Signore che mi diceva “Io sono con te” e la gioia di questo passo. Dopo il dono della vita, il dono della missione penso sia la grazia più grande che ho ricevuto. Si va pensando di fare del bene, poi ci si accorge che siamo soprattutto noi a ricevere. Il popolo brasiliano che ho incontrato è aperto, accogliente, semplice. Sono rimasta in Brasile 23 anni, fino al 2016.

Ho vissuti gli ultimi anni nella periferia di San Paolo, a Morro Doce, quartiere abitato soprattutto da persone venute dal nord del Brasile in cerca di lavoro. Ho visto i sacrifici che facevano per vivere: uscivano di casa alle 4 del mattino per prendere l’autobus e raggiungere il centro città. Alcuni non trovavano lavoro perché, avendo costruito su un terreno di occupazione, non potevano indicare il loro indirizzo. Rispetto al primo periodo trascorso in questo quartiere, ho visto però una situazione migliorata, grazie alla mobilitazione popolare.

A Morro Doce, la parrocchia era formata da dodici comunità con il solo parroco. Spesso, la domenica, erano i laici, uomini e donne, che celebravano la Parola di Dio. Ogni comunità aveva il suo consiglio pastorale, organizzava la festa del patrono, la catechesi, i gruppi del Vangelo. Periodicamente, le comunità si incontravano tutte, per tenere unita la parrocchia. La Chiesa che ho incontrato in Brasile è semplice, vicina alla gente; i presbiteri sono pochi e i laici, uomini e donne, si organizzano e assumono responsabilità. Ricordo la vivacità delle liturgie, le iniziative pastorali, la creatività del popolo e la sua fortezza nel superare le difficoltà materiali. 

La missione è vivere il nostro Battesimo, guardando Gesù che dice: “Sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza” (cfr. Gv 10,10). Anche oggi, cinquant’anni dopo i miei voti, continuo a dirmi: devo seguire Gesù, guardare Lui. Sono felice della scelta fatta e cerco di continuare a servire con disponibilità e amore chiedendo l’aiuto del Signore. Spero che la morte sia l’incontro con il Signore cui ho consegnato la mia vita.

Nel giugno 1971, alla vigilia della sua prima professione, Alba così scriveva sul giornalino “Missionarie di Maria”.           “Questa tappa è unita a un invito più stretto e più intimo di Gesù: «Vieni e seguimi». Quattro anni fa… ho lasciato i miei, il lavoro e tante altre cose per una meta: volevo guardare, vedere, sperimentare la vita religiosa. Adesso Lui mi chiede di viverla e sono contenta. Vedo che è l’inizio di un nuovo e lungo cammino, è un dono totale al Signore, una vita spesa e data completamente agli altri.... Mi viene spontaneo dire con la Madonna: «L’anima mia magnifica il Signore...»”.



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