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LA PAROLA

5Passati quei giorni, uscimmo da Tiro e ci mettemmo in viaggio, accompagnati da tutti i discepoli, con mogli e figli, fino all’uscita della città. Inginocchiati sulla spiaggia, pregammo, 6poi ci salutammo a vicenda, noi salimmo sulla nave ed essi tornarono alle loro case.

7Terminata la navigazione, da Tiro approdammo a Tolemaide, andammo a salutare i fratelli e restammo un giorno con loro. 8Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarea; entrati nella casa di Filippo l’evangelista, che era uno dei Sette, restammo presso di lui. 9Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia.​ (Atti 21, 8-9)

Comunità di credenti - uomini, donne, bambini - nascono grazie all’annuncio dei testimoni del Risorto: coloro che lo hanno visto, come Paolo; coloro che pur non avendo visto hanno creduto, come Luca, che con il “noi” del suo racconto sembra segnalare la sua presenza.

Il piccolo gruppo di Paolo e compagni, nel suo viaggio da Efeso alle città costiere di Tiro, Tolemaide e Cesarea, verso Gerusalemme, è ospite delle comunità cristiane. Un calore d’affetto intenso segna tutti questi incontri.

Li accolgono e accompagnano famiglie, conquistate dalla buona notizia di Gesù: uomini, donne, bambini che vivono ormai un’esistenza nuova. I tempi dell’esclusione sono finiti, proprio come Paolo aveva insegnato: “Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,27s).

Invano, come Pietro un giorno con Gesù, le comunità cercano di dissuadere Paolo dal viaggio. Egli, infatti, è “pronto anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù” (v. 13b).

Lasciata Tolemaide, Paolo e compagni giungono a Cesarea, capitale politica dell’occupante Romano in Palestina. Lì abita Filippo, uno dei Sette che la persecuzione aveva disperso in Giudea, Samaria e oltre (8,1b). Per nulla scoraggiato, Filippo aveva riempito la Samaria della gioia della buona notizia e si era lasciato condurre dallo Spirito fin sulla strada dell’eunuco, perché tornasse in Etiopia dalla sua regina pieno della gioia di Gesù.

Filippo aveva “quattro figlie vergini profetizzanti”, dice alla lettera il testo. Quattro parole come traccia di una realtà totalmente nuova. Luca non si sarebbe dato pena di parlare della loro condizione di vergini, se essa non avesse corrisposto a una precisa scelta, in nome della fede in Gesù. Tracce antiche di una condizione di vita che fu quella di Gesù stesso e di diversi discepoli e discepole della prima ora, e che fu presente fin dagli inizi nella chiesa.

Ragazzi e ragazze che, affascinati da Cristo, abitati da una forza e da una luce particolari, sceglievano un’esclusiva dedizione a lui nella condizione di verginità. Restavano nelle loro famiglie, vivevano la vita di tutti, ma tutti nella comunità sapevano della loro scelta.

Che era a tutti d’incoraggiamento e annuncio particolare della forza del Risorto, capace di rapire dei cuori giovani vincendo tutti i fascini del mondo.

Le quattro ragazze profetizzavano, facendosi voce di Colui che le aveva conquistate, parlavano di lui e raccontavano la sua storia e le sue parole. Potevano farlo, perché la comunità le ascoltava, a cominciare dal loro padre Filippo.

Questo genere di vita ha avuto nei secoli una lunga storia, di grandezza e anche di tradimento; si è talvolta complicato fino a perdere la freschezza di quel gesto unico. Decaduto, è rinato. E c’è da pensare che anche nei giorni che sono i nostri, in cui la bellezza del mondo e dell’amore trova nuovi liberati accenti,

non mancheranno mai donne e uomini folli che, non per disprezzo ma per dono ricevuto, saranno nel mondo segni intensi della forza e della bellezza del Risorto.



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