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... e le due di fra' Benedetto

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ULTIMA CENA DI PIETRO DA MARONE (1548-1603).

Nel chiostro della chiesa dopo il restauro del gennaio 2001 ha ritrovato maggior visibilità l'affresco sopra l' ingresso della sacrestia storica, angolare a quello di Gesù nell'orto degli Ulivi. La scena incornicia il portale e l' acquasantiera quattrocentesca, sovrapponendosi a un precedente affresco di evidente picchettatura. Rappresenta una ultima cena, opera attribuita da sempre a fra' Benedetto da Marone, l' autore degli affreschi all' interno della chiesa.

Sullo sfondo di grande impatto per il visitatore che si affaccia all' ingresso del chiostro il pittore dispone sopra il portale della sacrestia una tavola a forma di U: al centro sta Gesù nel gesto della istituzione eucaristica, Giovanni è alla sua destra il capo reclino e gli altri apostoli in calcolato equilibrio stanno disposti attorno al lungo tavolo. La scena è presa dal basso, pertanto il sotto-in-su non permette di vedere l'imbandigione della mensa guarnita di tovaglia con i segni delle pieghe e di un ampio tovagliolo. Mostra invece un vasto soffitto a cassettoni a copertura di una sala aperta con luminose arcate sul cielo azzurro.

Il colore generale ha perso i cangianti primitivi e insiste sul brunastro, le stoffe bianche e i giallo-ocra degli abiti in primo piano hanno conservato poco dell' antico cromatismo e la varietà dei moti d' animo dei dodici appare trattenuta in una atmosfera di raccoglimento. Ai lati della porta della  sacrestia il pittore ha intelligentemente postoo delle scale dove a sinistra un servitore sale con il vassoio pieno, a destra un altro scende a piatto vuoto. Il Cenacolo viene descritto nei Vangeli come una stanza al piano superiore.

La figura del Cristo al fondo della prospettica tavolata appare rimpicciolita in rapporto alle altre. Un apostolo in primo piano alla sinistra è sul punto di alzarsi, lo sguardo alterato e allucinato nel volto cisposo segnato da un realistico bitorzolo. Rivolge la sua attenzione all'esterno verso di noi, volgendo le spalle all' azione che sta per compiersi: è Giuda in procinto di lasciare la stanza. " Gesù quindi disse -Quello che devi fare fallo al più presto -. Preso il boccone , egli subito uscì" ( Gv.13,21).

Questo affresco e quello angolare di Gesù nell' orto, pur nella continuità di stile con quelli dell' interno, mostra già i segni dello stile di un altro pittore che pensiamo essere l' altro da Marone, Pietro il nipote di fra' Benedetto. Egli aumenterà in fama e popolarità in seguito alle numerose tele ora presenti in edifici sacri di Brescia e provincia così da diventare più celebre dello zio gesuata. Pur non abbandonando l' affresco, si dedicherà prevalentemente alla pittura ad olio. Stando così le cose egli avrebbe compiuto il suo apprendistato accanto allo zio in San Cristo negli anni della sua formazione tra il 1562 e il 1575, anno del suo matrimonio con Olimpia Barbisoni celebrato in S. Zeno il 12 febbraio.

ULTIMA CENA DI FRA' BENEDETTO DA MARONE.

Il terzo cenacolo si trova nell' abside della chiesa, alla destra della Croce abbinato a quello della Lavanda dei piedi. Ambedue strappati dal Simoni nel 1963 per salvarli dall'umidità (solo recentemente questa zona è stata bonificata e liberata esternamente), hanno ripreso più grande leggibilità dopo l' ulteriore restauro del 1999.

In una sala-porticato aperta su edifici cittadini la scena si svolge attorno a una mensa circolare. A sinistra in primo piano è un alto baldacchino rossiccio (nelle intenzioni era purpureo, il colore del basileus di Bisanzio) sotto il quale presiede Cristo in piedi, le mani alzate nel gesto della elevazione dell'ostia del celebrante nella S. Messa del rito tridentino. I discepoli disposti attorno alla mensa reagiscono con animazione, come sconvolti da un fatto nuovo. La figura di Giuda  si trova al lato opposto del celebrante, alla nostra destra, visto di spalle, la mano sinistra appoggiata sulla mensa mentre l'altra pende verso il basso con la borsa (ora corrosa dalle muffe). Il volto, ormai non è più attento al gesto di Cristo, volge all' esterno fuori scena: sta per alzarsi e uscire, deciso ormai a lasciare tutto  per attuare il suo disegno di regno. 

L'insieme risulta piuttosto agitato, le figure sono sommariamente disegnate, questo a causa del degrado indotto dall' umidità e della caduta del colore. In una ambientazione ormai barocca stupisce l'anacronistico e apologetico gesto di Gesù, comprensibile solo in tempo di Controriforma.

Comparando questa scena con la simmetrica della Lavanda dei piedi non sfugge la relazione tra le due figure speculari di Giuda e di Pietro. Questi è ripreso frontalmente e Giuda di spalle, ma i loro volti hanno lo stesso profilo del viso segnato da leggera stempiatura, e posti sul medesimo livello danno l'impressione di guardarsi negli occhi, in un muto dialogo ai lati del Crocifisso ligneo, sofferente testimone.

Pura casualità o intenzione manifesta quella di mettere a confronto due apostoli che hanno egualmente tradito il Maestro, pur con esito diverso? A sinistra nell' affresco della Lavanda dei piedi Pietro fa il gesto di rifiuto a Gesù che si umilia ai suoi piedi perché non accetta un messianismo presentato come servizio agli altri. A destra Giuda si accinge a lasciare la sala perché rifiuta un messianismo di riconciliazione che non coincide con il suo progetto rivoluzionario di liberazione.

I loro sguardi sembrano incrociarsi per un momento istintivamente quasi a confermare il medesimo sentire. Se così è, l' idea del confronto dei due apostoli ai lati della Croce è in sé teologicamente non priva di fascino, salvo restando in ogni caso l' intenzione dell' artista.

Il tema dell' Ultima cena è frequentissimo nel '500. Anche Tiziano nella tela ora alla Galleria Nazionale di Urbino (1542-1544) rappresenta Cristo nel gesto della elevazione davanti a una tavola rotonda. E' chiaro l'intento apologetico nel clima della Controriforma di voler sottolineare la continuità dell' ultima cena con la S. Messa attuale, evidenziando l' aspetto della presenza eucaristica piuttosto di quello della istituzione.

PIETRO DA MARONE

L'affresco del presbiterio fa parte del ciclo di fra' Benedetto da Marone al quale viene da tutti attribuito, però il confronto con la cena del chiostro lascia dubbi sulla attribuzione di questa ultima. Si ritiene che il frate gesuata, ormai preso dai molteplici impegni in questo convento e altri dell'Ordine, abbia associato il nipote Pietro come garzone in un lavoro tanto impegnativo.

Di conseguenza l'opera del chiostro sembrerebbe più ovvio attribuirla a Pietro da Marone (1548 - 1603 e non 1625 come da recenti ricerche della dott. Pansera ). Bisognerebbe di pari rivederne la datazione: siccome nel 1565 Pietro avrebbe avuto solo 17 anni, si è costretti a spostare di alcuni anni la esecuzione di questo affresco, considerando che al 1581 sono datate le sue prime opere certe, vale a dire le tele per il soffitto della distrutta cattedrale, ora in Loggia.

Probabilmente nato a Venezia, dove la famiglia si trovava, la tradizione lo vuole scolaro del Veronese. In effetti le sue opere giovanili sono chiaramente impostate al modo largo ed equilibrato dei veneti, la ricchezza del colore e dei toni sono chiaramente di derivazione del Caliari. In tele più tardive si notano elementi del Moretto, per cui le due tendenze si fondono sempre in grande armonia anche se alcune volte tende verso sfumati verdi di non gradevole effetto. Rimane senza dubbio una figura eminente nell' ambito del manierismo bresciano. Sarebbe morto a Sovere di Bergamo nel 1603, forse avvelenato dalla moglie.

Stando così le cose si può pensare a una compresenza di questi tre artisti, fra' Benedetto, il nipote Pietro da Marone e Lattanzio Gambara nel cantiere di S. Cristo degli anni 1560-1565.

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