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Kabila si è intestardito a restare al potere ispirandosi ai paesi vicini, anzitutto all’Uganda di Yoweri Museveni, dove il 20 dicembre 2017 il parlamento ha votato una mozione a favore di un nuovo – quinto – mandato al presidente in carica. Da 30 anni al potere, Museveni avrà 77 anni nel 2021. La società civile è praticamente imbavagliata. Nel paese semina terrore, violenza e morte, l’Esercito di resistenza del Signore (LRA), ostile al governo, con incursioni nei paesi limitrofi.

Nel 2015, anche il parlamento del Ruanda ha proposto un cambiamento della Costituzione per permettere al presidente Kagame un terzo mandato. Naturalmente la mozione è stata votata nel referendum costituzionale del 2015 e nel 2017 Kagame è stato rieletto per la terza volta con il 98,79%! Come se non bastasse, il partito di Kagame ha aperto le porte alla possibilità che l’attuale presidente resti in carica fino al 2034! Malgrado lo sviluppo del paese, Kagame è continuamente accusato di far uso di una politica di repressione. I suoi oppositori infatti sono in carcere o all’estero. Intensa è anche l’ingerenza nel Congo RD fomentando ribellioni di diversa natura e sfruttando le ricchezze del paese. Dal 28 gennaio 2018, Kagame è a capo dell’organizzazione dell’Unione Africana.

Il Burundi. Dal luglio 2015, da quando il presidente Nkurunziza ha manifestato la volontà di un terzo mandato, contro la Costituzione, il paese è in preda a una spirale di violenza che ricorda i tempi più bui. Rapimenti, soprusi, torture, abusi sessuali su larga scala, sono sistematicamente amministrati a chi si oppone al terzo mandato. La Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia, sulla base di un rapporto dell’Onu, ha manifestato la volontà di aprire un’inchiesta. Subito il parlamento, dominato dal partito del presidente, ha votato una mozione che prevede il ritiro del Burundi dalla Cpi. È già in atto anche il processo per abolire ogni limite costituzionale permettendo così al presidente attuale di presentarsi come candidato ogni volta che lo vorrà. L’opposizione è esclusa da ogni dialogo e la società civile fortemente repressa.

La Tanzania. Paese amico del Congo RD. L’alternanza politica è assicurata e vive ancora dell’eredità lasciata da Julius Nyerere, di cui si è aperto il processo di canonizzazione durante il secondo Sinodo per l’Africa (ottobre 2009). Il governo ha inviato militari per rinforzare le truppe della Monusco (Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del Congo) ed è molto critico nei confronti delle politiche di Ruanda e Uganda verso il Congo RD.

Lo Zambia. Le ultime elezioni del 2016 sono state caratterizzate da tensioni e dalla censura dei media indipendenti. Il presidente eletto, Edgar Lungu, ha fatto imprigionare nell’aprile 2017 il rappresentante dell’opposizione politica Hakainde Hichilema con il pretesto che stesse organizzando un colpo di Stato, poi rimesso in libertà nell’agosto dello stesso anno grazie alla forte pressione esercitata dalla società civile. I vescovi cattolici e le altre confessioni religiose avevano stigmatizzato la violenza istituzionale e l’uso sproporzionato della forza, caratteristiche queste di uno Stato dittatoriale.

L’Angola. Il paese è governato dal Movimento popolare per la liberazione dell’Angola (Mpla) dall’indipendenza nel 1975. Le ultime elezioni dell’agosto 2017 hanno portato al potere João Lourenço che ha preso il posto di Eduardo dos Santos, al potere da 38 anni! L’opposizione ha denunciato forti irregolarità ma la Conferenza episcopale del paese ha richiamato gli angolani alla calma e al senso civico per non ricadere nella guerra civile.

La Repubblica del Congo (Brazzaville). Il suo presidente è al potere da lungo tempo. Il primo periodo va dal 1979 al 1992 alla testa del patito unico. Battuto alle elezioni del 1992, è coinvolto nelle due guerre civili che hanno scosso il paese[1]. Vince le elezioni nel marzo 2002 con il 90% dei voti. Vince di nuovo nel 2009 con il 78,6%. Nel marzo 2015 organizza un referendum per cambiare la Costituzione del 2002 con l’intento di togliere ogni limite affinché il presidente in carica possa presentarsi come candidato ogni volta che lo vorrà. Lo vince con il 93% dei voti. Naturalmente l’opposizione ha contestato sia risultati che la procedura.

La Repubblica del Centrafrica. Ricordiamo che papa Francesco aveva voluto iniziare l’Anno giubilare della misericordia del 2015 proprio dal Centrafrica martoriato da una guerra civile senza fine. Dopo una fase di calma e di cessate il fuoco per la venuta del papa, le violenze sono riprese. L’80% del territorio è controllato dai gruppi ribelli che dettano legge. La presenza di truppe Onu (Minusca)[2] è accusata di inazione e lentezza nel proteggere la popolazione. Le truppe francesi sono accampate all’aeroporto.

Il Sud Sudan. Ultimo degli Stati a vedere la luce, nel 2011, dopo decenni di guerra civile con il regime di Khartoum. Nel 2013 scoppia la guerra civile tra i seguaci del presidente Salva Kiir dell’etnia Dinka e i seguaci del vice-presidente Riek Machar dell’etnia Nuer. Il conflitto, spacciato come etnico è in realtà radicato nella gestione dei proventi del petrolio i cui giacimenti si trovano all’80% al Sud mentre la maggior parte degli impianti di raffinazione sono al Nord. Il conflitto ha generato molti profughi di cui circa 480.000 in Uganda.

Da questa breve panoramica appare che solo due paesi limitrofi (Tanzania e Zambia) sono relativamente democratici. Kabila e il suo entourage vanno però a scuola dagli altri sette, modificando la Costituzione e mettendo a ferro e fuoco il paese, per mantenersi il potere. Con tali “maestri”, non c’è molto da sperare.

[1] Del 1992-1997 e 1997-1999.

[2] Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del Centrafrica.



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