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Il Congo RD[1] e il Sud Sudan vivono il tragico protrarsi di una situazione di conflitto, per il rifiuto dei rispettivi presidenti, di lasciare il potere Joseph Kabila e di negoziare una pace duratura Salva Kiir. Gli ultimi avvenimenti hanno rimesso sotto i riflettori internazionali soprattutto il Congo RD.

IL TRAGICO PROTRARSI DI UNA SITUAZIONE DI CONFLITTO

Le manifestazioni del 31 dicembre 2017 e del 21 gennaio 2018, organizzate dal Comitato laico di coordinamento (Clc), gruppo di laici cattolici ufficialmente riconosciuto dell’arcidiocesi di Kinshasa, per chiedere l’applicazione degli accordi del 31 dicembre 2016, chiamati anche “Accordi di San Silvestro”, sono state duramente represse dal regime, con morti e feriti. Gli accordi erano stati firmati dalla formazione politica della “maggioranza presidenziale” e dalle formazioni dell’opposizione, grazie alla mediazione della Conferenza episcopale, chiamata in causa dallo stesso presidente Kabila per trovare un’uscita politica al vuoto istituzionale e tranquillizzare la società civile. Gli accordi prevedevano tra l’altro: la formazione di un governo di unità nazionale con l’incarico di portare il paese alle elezioni entro la fine del 2017; la liberazione degli oppositori politici detenuti e il rimpatrio di chi si è rifugiato all’estero perché minacciato di arresto al rientro; l’impegno formale ed esplicito da parte di Kabila di rinunciare al terzo mandato, come recita la Costituzione; la libertà di stampa ed espressione.

DUE MANIFESTAZIONI REPRESSE IN MODO DIVERSO

Ebbene, le due manifestazioni sono state disperse in modo violento dalla polizia e dall’esercito con uso di lacrimogeni e munizioni vere. Il bilancio della prima manifestazione è stato di 13 morti e numerosi feriti; quello della seconda di 7 morti e qualche ferito. L’eccessivo uso della violenza ha suscitato una grande reazione nella comunità internazionale che ha condannato la sproporzione della forza utilizzata davanti a manifestanti pacifici muniti solo di bibbie e rosari. Nella seconda manifestazione però si è verificato un fatto per certi versi strano: è diminuita la violenza da parte della polizia. Qualcuno immagina che si sia trattato di una polizia e di un esercito diversi, mentre nella prima manifestazione si trattava forse di poliziotti e soldati stranieri, magari mercenari, perciò più liberi di uccidere senza il pericolo di ferire un famigliare, un amico, un conoscente. Per ora il Clc ha sospeso altre manifestazioni per onorare le vittime, anche se è determinato a continuare la sua pressione sul governo e sul presidente per dimostrare che il tempo delle dittature è ormai esaurito e il popolo reclama uno Stato di diritto. Questo è l’obiettivo della manifestazione programmata per i 25 febbraio 2018.

Perché tanta violenza nei confronti di manifestanti armati solo di bibbie, crocifissi e rosari? Perché il regime si mostra cosi intollerante nei confronti di una popolazione fa di tutto per vivere dignitosamente, senza alcun aiuto da parte dello Stato? Qual è la posta in gioco tra popolazione inerme e Stato armato?

FATTORI INTERNI

L’Alto Commissario per i Rifugiati e il Consiglio Norvegese per i Rifugiati[2] hanno dichiarato che questi conflitti, in corso in più parti del Congo RD, hanno provocato il più grande flusso migratorio al mondo nel 2016-2017 con 922.000 nuovi sfollati portando così a più di 4,5 milioni i migranti del Congo RD, tra sfollati e rifugiati, di cui molti hanno attraversato le frontiere di  Zambia e Angola. Mentre il Congo RD ha accolto rifugiati provenienti dal Burundi e dal Sud Sudan. Nel Congo RD si contano ormai più di 13 milioni di persone che necessitano di un aiuto urgente.

Questi spostamenti di popolazione sono dovuti a conflitti fomentati dal mancato rispetto della Costituzione e dall’accanirsi al potere da parte di Kabila. All’interno del paese seminano terrore e morte molti gruppi armati con denominazioni di Mayi-mayi[3] che fanno scorribande soprattutto all’Est del paese ma alcuni fino alla capitale. Sempre all’Est si trovano altri gruppi armati: alcuni di origine ruandese, altri di origine ugandese, altri ancora di origine burundese[4]. Questi gruppi di origine straniera hanno creato legami con i gruppi ribelli Mayi-mayi per lo sfruttamento illegale delle materie prime e delle ricchezze del Congo RD. Molti rapporti sono stati redatti su questa problematica[5]. Essi mostrano che grazie alla mancanza dello Stato e all’inefficiente inerzia della Monusco, questi gruppi armati si finanziano con l’estrazione artigianale dei minerali, continuando ad armarsi e diventando più forti. Qui si aprirebbe poi il grande panorama dell’influenza delle multinazionali che comperano, utilizzano e trasformano questi minerali in smartphone, tablet, computer e batterie per le nuove macchine elettriche. Ma lasciamo ai lettori scoprire, sui rapporti citati, la rete mondiale di sfruttamento.

Nel Kasai centrale continuano gli scontri tra le milizie di Kamuina Nsapu[6] e altri gruppi non ben definiti tra cui la milizia Bana Mura, costituita e finanziata dal governo per combattere Kamuina Nsapu. Si tratta probabilmente di mercenari al soldo del governo[7]. Il dramma del Kasai, isola pacifica che non era ancora stata toccata da disordini, è stata messa in evidenza a causa dell’uccisione di due emissari dell’Onu in circostanze non ancora chiarite. Stavano indagando su alcune fosse comuni. Ne sono state trovate 42 e almeno 20 villaggi rasi al suolo. Si contano 3300 vittime tra la popolazione. In gioco c’è il controllo di immense risorse e di grandi aree da “liberare” dalla popolazione per dare libero accesso all’estrazione.

Nel Congo centrale (all’estremo ovest del paese), la setta di Bundu Dia Kongo, di natura religiosa, nazionalista e antioccidentale, con un programma culturale e politico in favore dell’etnia Kongo, spinge per la creazione di uno Stato federale che raggruppi la popolazione Kongo dell’Angola e del Congo RD. Nel 2011 il governo ha proibito questa setta sul suo territorio. Gli scontri con la polizia e l’esercito hanno fatto molte vittime e hanno rafforzato un forte sentimento anti-governativo. Nel maggio 2017 un commando della setta ha fatto irruzione nella prigione centrale di Kinshasa e probabilmente in altre prigioni, per liberare il suo capo e i suoi adepti.

Di fronte a queste forze non c’è solo la polizia e l’esercito. C’è pure la più grande forza dell’Onu al mondo, operativa nel Congo RD dal 24 febbraio 2000. Nominata prima Monuc[8] e diventata poi Monusco[9], essa[10] è sempre stata accusata di lentezza nel proteggere la popolazione e, di fatto, non ha debellato alcun gruppo armato sul territorio.

IL RUOLO DELLE CHIESE E DELLE “SETTE”

Un fenomeno importante ma non troppo studiato è il posto della religione in questa crisi. Cattolici e protestanti ispirano circa il 90% della popolazione. All’interno del protestantesimo il fenomeno delle “Chiese del risveglio” di natura pentecostale, si sviluppa in modo impressionante al punto da rappresentare oggi di gran lunga la maggioranza dei protestanti. Queste Chiese non fanno parte dell’ECC[11]. Di natura fondamentalista, veicolano una mentalità di causa-effetto promettendo guarigioni e prosperità, con un forte accento sensazionale e immediato. Queste Chiese diventano la cassa di risonanza del regime quando ci si avvicina a una scadenza politica oppure quando c’è un fatto politico che domanda il sostegno del regime, proprio come è successo nella reazione alle proposte del Clc. I diversi leader hanno reagito all’iniziativa con una campagna diffamatoria fatta a colpi di citazioni bibliche cercando di screditare soprattutto l’arcivescovo di Kinshasa, card. Monsengwo e con lui la Chiesa cattolica. Con le loro numerose radio, televisioni e siti internet, contribuiscono a seminare la confusione e a dissolvere gli sforzi di un possibile cambiamento.

Un altro fenomeno poco studiato è la presenza di molte “sette” iniziatiche, società segrete, gruppi occulti[12]. Questi gruppi sono prevalentemente frequentati da chi esercita professioni liberali, politici, alti ufficiali dell’esercito, intellettuali. Testimonianze di studenti universitari affermano che alla fine degli studi, prima di essere iscritti all’albo nazionale della professione, gli studenti sono “calorosamente invitati” a scegliere in quale gruppo iscriversi se vogliono trovare facilmente lavoro. Questi gruppi sono un altro supporto al regime che si affilia cosi gran parte della classe media del paese.

[1] Qualche dato significativo pubblicato nell’ultimo Rapporto sullo sviluppo umano del PNUD (2016): popolazione stimata: 77,3 milioni di abitanti; età media: 16,9 anni; popolazione urbana: 42,5%; Pil per abitante: 737 $ Usa (il 66,3% della popolazione vive con 2 $ al giorno); speranza di vita: 60,1 anni per le donne e 57,2 per gli uomini con una media di 58,7 anni.

[2] Cfr. Norvegian Refugee Council, www.nrc.no

[3] Gruppi armati ostili al governo che infieriscono sulla popolazione e in molti posti gestiscono l’estrazione di minerali.

[4] Cfr. Human Rights Watch: www.hrw.org/word report/2018. Nella pagina sul Congo RD un video mostra la presenza di mercenari provenienti da Ruanda e Uganda.

[5] Cfr. Global Witness, “Di fronte a un fucile, cosa si può fare?” del 2009; e il più attuale: Amnesty International e Afrewatch, “This is what we die for. Humain rights abuses in the Democratic Republic of the Congo power the global trade in cobalt”, 2016.

[6] Dal nome del capo tradizionale ucciso dai governativi nell’agosto del 2016.

[7] Cfr. L’Osservatore Romano, 21 giugno 2016.

[8] Missione dell’Onu in Congo RD.

[9] Missione dell’Onu per la stabilizzazione del Congo RD.

[10] Questa missione dell’Onu impiega 15051 militari e 724 osservatori provenienti da 49 nazioni; 320 unità di forze di polizia provenienti da 20 nazioni; e 2636 civili, di cui 1338 congolesi, per un totale di 18731 unità con budget di 1,5 miliardi di dollari dal 2001.

[11] Eglises du Christ au Congo (Chiese di Cristo in Congo), Federazione di Chiese riconosciute dal Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec).

[12] Come per esempio la Franc-massonerie, la Rose Croix, la Fraternité blanche universelle (Fbu), Mahikari, Eckankar.



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