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Di solito, la chiesa si rivolge al mondo e ai giovani attraverso conferenze, incontri, campi di lavoro, esperienze di missione… attività bellissime che mostrano il volto di una chiesa in uscita.

Eppure, incontrare i giovani dando loro la parola, intervistati da altri giovani, è stato qualcosa fuori dagli schemi consueti.

La proposta è arrivata dalla Pastorale Universitaria di Parma e ha superato tutte le mie aspettative. Trenta giovani di diverse nazionalità e appartenenze religiose hanno intervistato altri giovani tra i 19 e i 29 anni. Ho vissuto la dimensione missionaria sotto l’aspetto dell’ascolto e dell’incontro con l’altro. Nella nostra società, che segue ritmi frenetici e un’ansia morbosa di raggiungere traguardi, la necessità di incontrarsi con un altro è molto avvertita.

Un altro che, come me, sogna, lotta e spera per il proprio futuro e per quello degli altri.

La prima parte dell’intervista riguardava il rapporto dei giovani con il mondo. In questa fase ciò che mi ha colpito di più è stato il desiderio, presente in quasi tutti, di formare una famiglia. Un altro aspetto è stato quello del rapporto con la politica. Alcuni hanno affermato che si tratta di un servizio per il bene comune della società; altri hanno espresso un totale disinteresse, accompagnato da una delusione nelle istituzioni. Alcuni, inoltre, hanno manifestato una certa resistenza verso la vita adulta, che comporta responsabilità, impegni concreti e stabilità; altri, invece, si sentono adulti e giovani allo stesso tempo, e cercano di integrare entrambe le componenti nella propria vita.

Una seconda fase dell’inchiesta consisteva nel rapporto dei giovani con la spiritualità. Tra gli intervistati, la maggioranza si definiva cristiana e affermava di aver ricevuto la propria fede in famiglia. Altri si sono dichiarati “diversamente credenti”: non si identificano con una religione particolare, ma credono nell’esistenza di un “Essere” presente in tutto ciò che ci circonda.

La terza parte, invece, era dedicata al rapporto dei giovani con la chiesa. Mi ha colpito che sia credenti che “diversamente credenti” alla domanda “Cosa dovrebbe fare la chiesa per parlare di più ai giovani?” hanno risposto quasi all’unanimità: “Essere più radicale!”. Ovvero, non ci viene chiesto di essere attuali, di inventarci cose strane per arrivare ai giovani.

Molti mi hanno fatto notare che, forse, come chiesa, non ci interroghiamo abbastanza su ciò che stiamo proponendo al mondo e ai giovani.

Seguiamo schemi a cui siamo talmente abituati, anche se hanno perso il loro contenuto originario: facciamo la GMG, ma perché? Facciamo la missione universitaria, ma perché…? Ponendoci queste domande, potremmo concentrare tutte le nostre forze nell’unico obiettivo che la chiesa si propone da quando è nata: far conoscere la misericordia e l’amore di Dio a tutti gli uomini e donne.

L’ultima parte dell’intervista riguardava le domande di senso: cos’è la felicità? Cosa dà significato alla vita? Molti, anche quelli che lavorano o hanno una carriera avviata, hanno fatto fatica a esprimere un obiettivo a lungo termine. Mi chiedo allora se non possa essere questo un terreno da battere.

Cosa c’è di più bello di aprirsi a qualcuno, percorrere un pezzo di strada insieme?

Mi auguro che questo progetto non si riduca solo a una raccolta di dati statistici sul mondo giovanile. La chiesa da quest’esperienza deve imparare a considerare ogni uomo e donna come una persona unica e a rispettare questa unicità.



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